venerdì 27 marzo 2020
Agents of Mayhem
Bentornati.
Parliamo oggi di videogiochi, dandovi le mie impressioni su un titolo che, per come è strutturato, non ha avuto il successo sperato.
Parliamo oggi di Agents of Mayhem, sviluppato da Volition e pubblicato da Deep Silver ad agosto 2017 per X-Box One,PS4 e PC.
Il gioco è uno spin-off della serie Saints Row, ambientato dopo gli eventi del quarto capitolo della saga e in particolar modo dell'espansione Gat out of Hell.
Siamo quindi in una terra futuristica dove si scontrano due fazioni. Da una parte gli eroi, gli Agents of Mayhem del titolo, capitanati dalla conturbante Persephone Brimstone
e dall'altra i Legion, gli antagonisti, capitanati dal malvagio Doctor Babylon.
La trama è quindi molto semplice. Dovremo prendere parte alle varie missioni per sconfiggere i vari leader di Legion e fermare i piani di conquista di Babylon.
Il gioco è un action-adventure open world in terza persona.
La prima missione tutorial ci lancerà direttamente nel cuore dell'azione. Ci verranno spiegate le meccaniche di gioco e conosceremo i primi tre eroi, la cosiddetta Franchise Force, Rod "Hollywood" Stone il classico "poliziotto superstar" (forse il più bilanciato dell'intero roster),
Marina "Fortune" Santos, la piratessa spaziale (velocissima ma anche poco resistente),
e Ishmael "Hardtrack" Funderburke un ex marinaio (possente negli attacchi e nella resitenza ma poco utile negli scontri a lungo raggio).
E' inutile negarlo, il concetto dei Mayhem e dei Legion ricordano in qualche modo i G.I.Joe e i Cobra.
Viste le basi, veniamo alle mie considerazioni.
Agents of Mayhem è un gioco nel mezzo, nel senso che non valeva sicuramente il day one, ma per 10 euro, più o meno il prezzo in cui si trova in giro, potrebbe valerne l'acquisto.
Sicuramente è il classico gioco "scazzo". Non è eccessivamente difficile, visto che comunque anche nelle missioni più ostiche possiamo abbassare il livello di sfida, non è complicato nelle meccaniche, ed è tutto sommato divertente.
Diciamocela tutta, io l'ho preso esclusivamente perché era legato al mondo di Saints Row e dalle immagini ricordava molto quel mondo futuribile visto nel quarto capitolo, unico che ho giocato, ma che mi ha divertito tantissimo.
Siamo onesti, si vede la mano dei Volition ma manca quel qualcosa che rendeva Saints Row 4 decisamente superiore.
Per prima cosa mancano i superpoteri. I Mayhem sono una sorta di supereroi è vero, ma manca quel senso di libertà che era presente nel quarto capitolo.
Le missioni sono tutto sommato divertenti da risolvere ma spesso sono ripetitive, specialmente quelle cittadine.
Spendiamo quindi due parole sulla gestione delle missioni.
Chiaramente abbiamo le primarie che portano avanti la trama.
Abbiamo le secondarie che spesso servono a reclutare nuovi membri della squadra e a indagare sul loro passato, anche se in maniera veramente accennata, ma con un motivo.
Abbiamo le missioni terziarie che verteranno sull'abbassamento del livello di caos prodotto dai Legion. Queste sono realmente le prime ripetitive ma essendo spalmate nell'intero gioco non pesano.
Ultima categoria le "cittadine". E qui il problema della ripetitività. Dovremo recuperare auto particolari, effettuare missioni di corsa a tempo per la città o con le auto, dovremo infiltrarci nelle basi Legion.
Queste ultime sono le peggiori perché i covi sono dannatamente uguali tra loro. Ci saranno sì e no tre modelli ripetuti un sacco di volte.
Discusse le missioni veniamo al punto forte, i protagonisti.
Della Francise force abbiamo già accennato per cui vediamo gli altri.
Janel "Braddock" Braddock
la "sergenta" di ferro. In pratica la versione femminile di sergente Hartman. Lei rappresenta il classico militare fedele alla bandiera americana.
Piper "Daisy" Andrews
una giocatrice di Hokey su erba, dotata di un enorme gatling. Le piace bere e divertirsi e sicuramente la sua missione "storia" è una delle più particolari.
Cosima "Joule" Bellini
la meccanica Italiana. Dotata di un laser che colpisce solo i bersagli, e di una torretta mobile a supporto, è uno dei miei personaggi preferiti (probabilmente per onore nazionale) anche se non troppo efficiente nelle missioni.
Masamune "Oni" Senichi
un ex Yakuza con una maschera da demone che gli copre il volto. La sua pistola silenziata è senza dubbio una delle armi migliori del gioco.
Pranati "Rama" Malhotra
la ragazza Indiana è dotata di un arco molto letale, ma che bisogna usare con precisione per migliorarne l'efficacia. Questo la fa diventare uno dei personaggi più scarsi del gruppo.
Ingo "Red Card" Rotkapp
un hooligan tedesco ultra fan dell'FC Ruedesheim. Sulla carta uno dei migliori personaggi visto che il suo fucile ha due configurazioni. La prima a corto raggio, dove però fa maggiori danni ed è utile nelle mischie, e una a lungo raggio per tenere a distanza i nemici più grossi.
Scheherazade
la misteriosa ninja. Neanche Persephone conosce la sua vera identità. Combatterà con la spada e sarà letale nel combattimento corpo a corpo, ma risulterà inutile negli scontri a distanza.
Pierce "Kingpin" Washington
il rapper/boss della malavita. Personaggio molto versatile grazie al suo mitra, specialmente quando avremo a disposizione l'abilità di evitare di ricaricare l'arma buttandola via e ottenendone una pronta all'uso.
Oleg "Yeti" Kirrlov
il gigantesco russo, ricorda fin troppo il mister Freeze di Batman. Come lui infatti sarà un uomo glaciale. La sua arma un fucile congelante servirà a bloccare gli avversari che verranno spazzati via dalla forza bruta del colosso.
Ji-hoon “Johnny” Gat
il collegamento con la serie principale. Un ex poliziotto che si unisce ai Mayhem dopo il coma. Questo personaggio è una feature della day one edition (unica versione che si trova nei negozi da quello che ho visto).
Visti anche i protagonisti spendiamo due parole sulle meccaniche e poi passiamo ad alcune osservazioni.
Le meccaniche di gioco sono molto semplici. In linea generale ogni Mayhem ha tre attacchi. Il principale, lo sparo dell'arma, il colpo potenziato, al quale servirà una decina di secondi per poterlo riutilizzare e il colpo Mayhem, ovvero l'attacco più potente.
In questo ultimo si vede spesso la follia dei programmatori nel caratterizzare i vari personaggi, ma non sempre i colpi risolutivi saranno utili alla missione.
Personalmente il migliore e più utile sarà quello di Hollywood, che inforcati gli occhiali da sole e "iniziate le danze" sarà più veloce, più resistente ai colpi e più letale col suo fucile.
Avremo la possibilità del triplo salto per raggiungere le vette più alte, e potremo cadere senza danni dai grattacieli più imponenti.
Avremo sempre a disposizione una super macchina alla K.I.T.T., visto che è dotata di intelligenza artificiale, che ci basterà richiamare con un tasto ovunque saremo.
Sembra tutto molto divertente, ma c'è un mah.
Secondo me questo Agents Of Mayhem, proprio per come è strutturato nella narrazione, doveva essere il primo di un progetto a più ampio respiro.
Perché dico questo? per due semplici motivi. Tutti i protagonisti avranno una missione in solitaria dove si scoprirà il perché si sono uniti a Persephone e un qualche scopo personale per continuare nella squadra.
Però le missioni saranno una per personaggio, lasciando molte sottotrame inconcluse.
E poi la gestione dei titoli delle missioni, divise per episodi dove la finale sarà intitolata "finale di stagione".
Quindi l'idea per un sequel o forse di più, era nei piani iniziali però le vendite non hanno dato i risultati sperati.
E' un bene? è un male? Onestamente il gioco ha alcuni difetti, la ripetitività in primis, e forse una mancanza di identità.
Siamo onesti, nelle prime battute pensavo fosse un gioco stile Fortnite, pur non avendo mai giocato al titolo.
Non lo so, forse una trama un pochino meno scontata e quel tocco di follia e citazioni che sono presente nella serie principale Saints Row avrebbero giovato maggiormente ad un titolo che, non è brutto, ma non è niente di memorabile.
Resta il fatto che per i soldi che gli ho dato e per la voglia di giocare un titolo più leggero senza troppi sbattimenti, vale pienamente il prezzo del biglietto.
See you next
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venerdì 20 marzo 2020
Final Fantasy VII Remake Demo
4 Marzo. Un giorno che molti appassionati aspettavano con ansia, anche se il main event arriverà il 10 aprile.
Parliamo del rilascio della demo di Final Fantasy VII Remake.
Si è vero, avevo garantito che non avrei parlato di giochi main stream, però qua si parla di una demo di circa una quarantina di minuti di gameplay e perché mi interessava spendere due parole su uno dei JRPG che maggiormente ho giocato nella mia vita.
Senza dubbio erano anni che il popolo richiedeva a grande voce un remake del leggendario settimo capitolo che ormai ha sulle spalle 23 anni.
Nel 2015 però all'E3, durante la conferenza Sony ecco apparire Midgar, la gente inizia a scaldarsi, fino a vedere la mitica Buster Sword e un Cloud Strife di spalle.
Da li, però nessuna notizia, fino all'anno scorso che finalmente abbiamo iniziato a vedere alcune scene di gameplay e i primi filmati.
Chiaramente il dubbio che attanagliò noi fan era uno e uno solo, come sarebbe stato il combat system? Sicuramente non avremo avuto il classico combattimento a turni, visto che, in fin dei conti, anche i FF più recenti lo avevano già abbandonato.
Cosa si sarebbero quindi inventati, visti i malumori causati dai capitoli più recenti?
L'altra grossa delusione era la decisione di dividere la storia in "capitoli" che verranno rilasciati nel corso del tempo.
Per cui quello che vedremo nei negozi ad aprile non sarà un Final Fantasy VII Remake, ma bensì il capitolo 1 di N, dove N è un numero non chiaro fino ad oggi del progetto Remake.
Siamo onesti, è una cosa che mi ha fatto incazzare non poco, anche perché moltissimi hanno già puntato il dito su dove si fermerà questo primo capitolo, ovvero alla fine del disco 1 del FFVII originale, sulla scena più ricordata da tutti.
Ma quindi questo Remake è da demonizzare? Assolutamente no, anche se ci sono cose che mi hanno lasciato perplesso.
Graficamente è superbo, su questo non ci sono dubbi. Si abbandona la formula superdeformed del '97 per avere un realismo da brividi.
Una resa video dei personaggi e dei luoghi veramente impeccabile, molto dettagliata nelle cinematic e anche nelle scene d'azione.
Il gameplay segue le linee guida dei tempi, per cui un'azione più realistica nell'esplorazione degli ambienti che visiteremo.
Anche i filmati saranno molto più dettagliati e molto più cinematografici.
Quello che mi ha fatto storcere il naso sono ovviamente i combattimenti.
Era logico, il combat system non è più quello storico a turni. I combattimenti e gli incontri su campo sono tutti in tempo reale e si opta più per un hack 'n slash in terza persona.
La cosa che nei primi minuti mi ha preoccupato era la gestione del party.
Come tutti sanno nei JRPG, era il team la forza. Ogni personaggio ha le sue peculiarità, i suoi punti di forza e di debolezza.
La combinazione dei tre, nel caso di FFVII, membri della squadra, a fornire le abilità necessarie a vincere gli scontri.
Inizialmente, e per circa metà demo, si gioca solo con Cloud tanto che mi avevano fatto pensare che si potesse sempre gestire un unico personaggio per volta.
Così non è, ma con dei mah.
Riguardando infatti un video del vecchio FFVII del '97 mi accorgo che anche li si giocava con Cloud in solitaria all'inizio.
Circa metà partita si unisce Barret a spalleggiare le battaglie.
Quindi finalmente si capisce il sistema completo di gioco. Si utilizzerà sempre un personaggio principale e il secondo, e quindi anche il terzo, verranno usati dall'intelligenza artificiale.
Però potremo scambiare il personaggio principale o impartire al party delle azioni specifiche.
In qualche modo mi ha ricordato il metodo di gioco dei vari Baldur's Gate
e Icewind Dale.
Li infatti potevamo mettere in pausa la battaglia e gestire le varie azioni dei membri del gruppo.
Qui il concetto è simile.
In pratica, aprendo il menu azione il gioco rallenta e potremo pianificare le mosse, lanciando incantesimi, pozioni o attacchi abilità.
E' inutile dirvi che questo metodo non è più il vecchio modo di combattere, perché l'azione sarà sempre dannatamente frenica e dovremo, specialmente nelle battaglie boss, capire come muovere al meglio i nostri eroi.
Non lo so, forse sono io retrogrado, ma la cosa mi ha convinto fino ad un certo punto.
Capisco svecchiare il gameplay, in fin dei conti i vecchi JRPG sono ormai morti, però avrei trovato un altro modo o metodo.
Cosa però? A me non sarebbe dispiaciuta una variante del battle system di Resonance of Fate
che è quel giusto compromesso tra strategico e dinamico.
Ripeto sarò io che ho a cuore il gioco originale, ma rendere tutto in tempo reale, tramutando tutto in un hack'n'slash, mi risulta difficile da concepirne il senso.
E' vero, le battaglie diventano molto più spettacolari da vedere e da risolvere, però a rovescio della medaglia bisogna prestare molto più attenzione all'azione frenica e alla gestione dei personaggi.
E nella demo usiamo solo due personaggi su un boss "minore". Io ho molta paura quando i boss saranno quelli "importanti" come i Weapon, e il party sarà da tre elementi.
Poi manca l'epicità della colonna sonora. Alzi la mano chi non ha in mente il battle theme.
Qua non si sente mai, e tutto sommato avrebbe stonato. Anche la famosa "fanfara di vittoria" elemento riconoscibile nei vecchi capitoli viene a mancare, anche se c'è un simpatico richiamo da parte di Barret.
Final Fantasy VII Remake è quindi da demonizzare? no assolutamente. Però il vecchio fan vede molte cose tipiche dei capitoli storici mancare. Manca quel Fantasy del titolo per un gameplay più realistico e cinematografico
Il che può essere un bene o può essere un male, a seconda di chi gioca. Sicuramente una banale riproposizione del gioco del '97 non avrebbe avuto senso per cui ci voleva qualcosa di più.
Il problema è che forse non è questo quello che avrei voluto.
Ripeto, sarà solo un mio problema e verrò smentito, specialmente dai vecchi giocatori che ovviamente faranno una recensione sensata mettendolo a confronto con l'originale, ma FFVII così perde molto della sua magia originale.
See you next
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venerdì 13 marzo 2020
Saint Seiya - Knights Of The Zodiac Netflix
Bentornati.
Oggi parleremo di Serie tv e anime, soffermandoci su un brand che nel 2020 compie 35 anni, ovvero i Cavalieri dello Zodiaco.
Creati nell'ormai lontano 1985 da Masami Kurumada, nascono come manga con il nome di Saint Seiya.
Approdano nei nostri teleschermi blu cinque anni più tardi, il 26 marzo 1990 per l'esattezza, nell'ormai defunta Odeon TV.
La serie fu un successo straordinario, tanto che non solo tutt'oggi viene ricordata da tutti, ma che addirittura nel corso degli anni ha creato una vastità tra sequel, prequel e spin-off.
Ma perché parlarne oggi? semplice, perché Netflix ha riproposto in chiave moderna la storica serie, facendo uscire, per ora, dodici episodi. I primi sei il diciannove luglio 2019 e i secondi sei il 23 gennaio 2020.
Ne sarà valsa la pena?
Scopriamolo.
La storia copre bene o male quello che abbiamo visto nei primi 40 episodi della serie storica, raccontando, di fatto, i primi due archi narrativi, ovvero il torneo galattico e l'arrivo dei cavalieri neri, nei primi sei episodi, e lo scontro con i cavalieri d'argento, nei secondi sei.
La cosa che salta subito all'occhio è la scelta di portare in 3D tutti i personaggi, mantenendone però l'aspetto peculiare anche nel design delle armature, optando però per la seconda versione di esse, quella vista dopo la scalata alle dodici case.
Siamo onesti, questa scelta è stata sensata. In fin dei conti nell'orribile film del 2014 si optò per una scelta più radicale, modificando in maniera sostanziale sia l'aspetto dei "bronzini" sia l'aspetto generale delle armature, introducendo led e caschi hi-tech che erano decisamente fuori luogo.
Ma quindi Netflix ha ridato vita al mito dei Cavalieri? Si, in qualche modo, ma semplificando il tutto e peccando in errori abbastanza grossolani.
Andiamo con ordine e valutiamo un arco narrativo alla volta.
I primi sei episodi si basano su quello che possiamo definire il torneo per l'armatura d'oro.
La storia resta pressoché invariata. Il cavaliere del sagittario salva la piccola Isabel da morte certa, la quale viene allevata da Alman di Thule, il quale a sua volta recluta alcuni orfani che spedisce in giro per il mondo alla ricerca delle dieci armature di bronzo.
Vediamo il flashback del piccolo Seiya che vede salvare sua sorella Patricia da un misterioso cavaliere dorato a discapito di un'organizzazione che vuole rapirla.
Vediamo successivamente un Seiya adolescente che scopre di avere dei poteri latenti sbaragliando un gruppo di bulletti.
Lo vediamo infine venire reclutato da Alman e suo il successivo addestramento per ottenere l'armatura di Pegasus.
Fin qua niente di strano o particolare, diciamo che i problemi vengono dopo.
Infatti finalmente i dieci "bronzini" vengono invitati in un luogo segreto per il torneo dove il vincitore indosserà l'armatura d'oro del sagittario.
E qui la prima grossolana differenza.
Nella serie storica il torneo era un evento mostrato al grande pubblico con addirittura le riprese delle telecamere, qui invece è una sorta di versione sfigata del Fight Club, dove i dieci malcapitati si sfidano in una specie di fogna, in mezzo al deserto, dove un tombino robotico parlante li fa accedere.....
Il torneo segue in maniera spiccia i momenti salienti, senza però mostrare nessun pathos dei combattimenti ne dilungandosi troppo. Poche scene e i 5 bronzini minori salutano e vanno a casa.
Rimane la sfida clou tra Pegasus e Dragone ma senza la distruzione delle armature, e lasciando semplicemente la scena dove Sirio sta morendo per il colpo al cuore inferto da Seiya e il successivo colpo per rianimarlo.
Se nella serie originale tutto il torneo era spalmato in 4-5 puntate, e quindi c'era il tempo di dare il giusto spazio anche ai cavalieri minori, qua a malapena arriviamo a due, tagliando quindi pezzi successivi abbastanza importanti.
Da li rapidamente si arriva al finale, con l'arrivo di Phoenix che vuole rubare l'armatura d'oro spalleggiato da un gruppo di cavalieri neri. E qui la seconda importante modifica, forse l'unica che ha realmente senso.
Nella serie originale i cavalieri neri erano, inspiegabilmente, cloni dei quattro cavalieri di bronzo protagonisti.
Qui sono invece dei "simil cyborg" ai comandi dell'ex socio di Alman di Thule che è convinto che Atena e gli dei siano una minaccia per l'umanità.
Inutile dire che in breve i 4 bronzini sconfiggono i cavalieri neri e successivamente Seiya, utilizzando armi e poteri degli altri eroi, sconfigge Phoenix poco prima dello scoppio del vulcano dove stavano combattendo.
Nella mia narrazione ho volutamente saltato la modifica che più ha fatto storcere il naso ai fan dei Cavalieri.
Chiaramente faccio riferimento al cavaliere di Andromeda, Shun nella versione originale, che in nome del politicali correct diventa Shaun, e quindi femmina.
Strano che non abbiano ficcato anche un cavaliere di colore, giusto per restare fedeli alle linee guida del politicali correct, ma quello me lo aspetto tra i dodici dorati.
Come hanno detto in molti è semplicemente una cosa che ha veramente rotto i coglioni. Perché bisogna stravolgere personaggi amati che hanno determinate caratteristiche, in nome di regole veramente assurde.
I restanti sei episodi invece si concentreranno sullo scontro con i cavalieri d'argento.
Diciamoci la verità, neanche nella serie originale non sono mai stati personaggi cardine, però qui sono stati trattati come dei pagliacci, riproponendo ma semplificando il momento clou del ciclo, ovvero il sacrificio di Sirio e la sua perdita di vista per sconfiggere Argor di Perseo e il suo scudo di Medusa.
Il tutto si chiude con la freccia scoccata da Betelgeuse che trafigge il petto di Atena preannunciando la scalata alle dodici case dello zodiaco.
Veniamo quindi alle mie considerazioni.
Come abbiamo detto fin da subito questi 12 episodi vogliono dare nuova linfa vitale al mito dei Cavalieri dello Zodiaco, peccando però in semplificazioni estreme e togliendo pathos agli episodi.
Siamo onesti il problema non è tanto aver fatto diventare il cavaliere di Andromeda una donna, il problema grosso è aver focalizzato tutta la storia su Seiya.
Nella serie originale i cinque "bronzini" erano tutti allo stesso livello. E’ vero!, Pegasus aveva quella marcia in più e raggiungeva un livello di "coscienza" dei suoi poteri prima degli altri, ma c'era un equilibrio generale.
Diciamocela tutta, ogni cavaliere aveva la sua caratterizzazione e il suo giusto spazio nella storia.
Qui è inutile negarlo. Pegasus è il protagonista assoluto e gli altri sono meri comprimari.
Non abbiamo più la nobiltà di Sirio, la maggior freddezza di Crystal, la superiorità combattiva di Phoenix e il lato più protettivo di Andromeda.
Qui si vede solo la incrollabile forza di volontà di Seiya e la sua devozione alla dea Atena. Tra l'altro si capisce fin da subito che Seiya è il cavaliere più potente e che raggiungerà rapidamente lo stadio di cavaliere d'oro senza troppo sforzo.
Manca quindi quell'equilibrio del gruppo dove ognuno era fondamentale per la squadra e dove, soprattutto, ogni spettatore si identificava e tifava per il suo cavaliere preferito.
Molte scene vengono tolte, come la distruzione delle armature di Pegasus e Dragone durante il torneo galattico, molte altre vengono ridotte all'osso come la famosa perdita di vista da parte di Sirio.
La cosa che ho trovato un po' assurda è voler cambiare parte delle carte in tavola della storia originale.
Infatti nel manga e nell'anime si dice che il gran sacerdote non crede che Isabel sia l'incarnazione della dea Atena per cui convince i cavalieri d'oro che Micene era un traditore.
Qui invece si fa intendere che Isabel è l'incarnazione della dea, ma la profezia spiega che la sua nuova vita questa volta sia presagio di sventura e quindi doveva morire in fasce.
Perché questo cambio? mistero.
Prima di tirare le somme spendiamo due parole per il doppiaggio e i doppiatori.
Per prima cosa si è cercato di tenere le stesse voci di trent'anni fa.
Infatti Ivo De Palma, giusto per citare il più famoso, è ancora una volta Pegasus.
Ma insieme a lui buona parte del cast è rimasta invariata.
E' un bene? E' un male? Onestamente sono tanto legato alla sua voce che sentire "fulmine di Pegasus" detto da qualcun altro è un po' un'eresia.
Fatto sta che sono passati trent'anni e la sua voce è ovviamente invecchiata, anche se onestamente non ho un orecchio così fine da sentirne troppo le differenze.
La cosa che però mi ha fatto incazzare è la scelta dei nomi nel doppiaggio.
Finalmente tutti e cinque i "bronzini" hanno un nome. Per cui si è ripristinato Seiya come cavaliere di Pegasus e non Pegasus cavaliere di Pegasus.
Lo stesso vale per Andromeda che diventa Shaun, e Phoenix che diventa, però inspiegabilmente, Nero, invece che Ikki. Sirio e Cristal rimangono invariati, rimanendo fedeli al doppiaggio Italiano dell'epoca.
Diciamo che ci passo sopra. La cosa che non sopporto sono i cazzo di cavalieri d'oro che, escludendo il cavaliere dell'ariete, continuano a non avere nomi.
O meglio continuano ad avere nomi a caso. Abbiamo già visto Scorpio dello scorpione e Virgo della vergine. Porca troia il primo si chiama Milo, che un nome abbastanza facile anche in Italia, e l'altro Shaka.
Cioè sono passati trent'anni e non siamo più all'oscuro dei nomi originali, specialmente noi vecchi appassionati.
Cose che non capirò mai.
Tiriamo quindi le somme. Saint Seiya - I Cavalieri dello zodiaco di Netflix è una serie valida? Non proprio. L'idea è nobile ma la realizzazione è sommaria.
Manca il pathos della serie storica e manca la caratterizzazione dei personaggi principali optando per una semplificazione esasperata della storia e puntando tutto sul Seiya-centrismo fin troppo insensato.
Vale la pena guardarlo? 12 episodi da 20-25 minuti sono una visione breve, per cui per lo meno i fan storici possono darci un'occhiata per verificare con i propri occhi quanto ho appena affermato.
Fatemi sapere se ho ragione.
See you next
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martedì 10 marzo 2020
Samuel Stern
Come promesso ecco la versione blog dell'esperimento che sto cercando di portare avanti.
Oggi quindi parleremo di fumetti, soffermandoci su un titolo che ha iniziato a farsi fatto strada nell'Internet e in particolar modo tra gli appassionati di fumetti.
Parlermo quindi di Samuel Stern.
Da di cosa tratta?
Ultima fatica editoriale dell'italianissima casa editrice Bug Comics, che è approdata nelle edicole a fine novembre 2019.
Ma chi è Samuel Stern, il protagonista della storia?
Samuel è un uomo che vive a Edimburgo e fa il restauratore di libri antichi.
Però il nostro "rosso" spesso verrà coinvolto in indagini sul soprannaturale, in particolar modo legate all'esorcismo. Infatti in "un'altra vita" l'eroe della storia era un esorcista dotato di una particolare capacità di "sentire" il male provenire dalle persone.
Insieme quindi al suo vecchio amico Duncan, un prete che vive a Edimburgo, dovrà risolvere casi particolari per aiutare le persone in difficoltà.
E' inutile negarlo, in qualche modo questa storia ricorda molto un "mostro sacro" del fumetto italiano, ovvero Dylan Dog.
Pur non avendo mai letto quasi nulla dell'indagatore dell'incubo, ma conoscendone le sinossi e il mito che ha scaturito, questo Samuel Stern se ne avvicina per quanto riguarda le idee di base.
Però Samuel Stern è anche altro. Se l'incipit e tutta la struttura narrativa a episodi autoconclusivi e, per il momento idipendenti, vuole ricalcare lo stile storico del fumetto italiano, il lettore però viene colpito dalla storia ben strutturata ma soprattutto dai finali non scontati.
Nei tre episodi fin'ora usciti (anche se ormai in edicola è uscito il quarto) si arriva sempre alla risoluzione del caso affrontato dal libraio di Edimburgo, ma questo è un finale che spesso fa riflettere il lettore su tutta la natura del caso affrontato.
In Samuel Stern i demoni non sono semplicemente il male da scacciare, ma sono invece una chiara manifestazione di un lato oscuro del lato umano.
Il fattore scatenante può essere di svariata natura, dovuto ad un trauma, dovuto a una perdita, oppure ad un vuoto interiore.
Ogni storia è una rappresentazione di un male che affligge l'essere umano nella sua esistenza. Lo stesso protagonista, anche se non ancora approfondito, combatte i suoi stessi demoni e sopravvive ad essi facendo in qualche modo suoi quelli dei suoi stessi "clienti".
Samuel Stern, come ogni buon protagonista, ha un passato misterioso. E' grande amico di padre Duncan che lo spalleggia nelle sue missioni, ma non è chiaro da cosa nasca questo profondo sentimento di amicizia, fiducia e stima reciproca.
Samuel ha una figlia adolescente, ma questa non sa neanche dell'esistenza di suo padre. Questa sottotrama viene solamente scalfita dagli autori nel primo numero, per poi venire abbandonata nei successivi, ma sicuramente verrà ripresa in seguito probabilmente lasciando sempre un velo di mistero sul protagonista.
Samuel ha infine questa capacità di capire e comprendere il demone residente in una persona, anche se non è chiaro come abbia ottenuto questa abilità, contribuendo però a rendere affascinante il protagonista della storia.
Se la storia è solida e ben scritta, i disegni, per lo meno nel primo numero, non mi hanno convinto appieno perché forse troppo abbozzati in alcune vignette.
Resta il fatto che secondo me è la storia il motore portante. Essa infatti pur non essendo intricata nello svolgimento, ha un punto di forza nel messaggio intrinseco che vuole lasciare al lettore e soprattutto nei finali mai banali.
Samuel Stern è quindi una lettura consigliata? Secondo me si. Pur non gridando certamente al fumetto della vita, ho apprezzato il lavoro fatto dal team creativo di dare nuova linfa vitale ad un genere, l'horror, che personalmente non apprezzo, ma che con questa serie mi ha affascinato.
In qualche modo questa serie trova delle analogie con un manga che sto apprezzando ma poco citato, ovvero Perfect Crime.
Anche in questa opera ci si sofferma più sulla psicologia dei personaggi e sulle loro interazioni dando un messaggio forte e, nei primi numeri anche molto forte, al lettore che inizia con una storia "canonica" per venire colpito e sconvolto alla sua conclusione.
Per cui non posso che consigliarvi di fiondarvi in edicola, unico modo, per il momento, di recuperare i numeri.
See you next
P.S.: se volete sentire la versione audio potete cercare il podcast Nerd Space Cowboy su Spotify (https://open.spotify.com/show/1zIKoq7ZaDAnGo5uz6OwNm) o direttamente su Anchor.fm (https://anchor.fm/richunter)
sabato 7 marzo 2020
Un nuovo tentativo
Brevissimo post, solo perchè ho tentato di ridare vita a questo blog che, come già detto in molte occasioni, è morto.
Come dissi all'epoca la mancanza di lettori mi ha bloccato. Trovo inutile sprecare tempo per scrivere cose che principialmente rileggo solo io.
Però la voglia di scrivere, diciamocela tutta, non mi è mai mancata, ma capisco bene che nel 2020 un blog lascia il tempo che trova, se non hai "uno zoccolo duro" di lettori, rispetto ai nuovi media.
Per cui l'idea, forse malsana, di aprire una forma di comunicazione diversa e più "popolare" al giorno d'oggi, ovvero un podcast.
Per cui annuncio l'apertura del mio Podcast Anchor sul quale ho già "uploadato" 3 episodi. Un trailer e una prima puntata già disponibili, mentre una seconda puntata uscirà settimana prossima.
C'è un però. Non sarò io a raccontarvi i miei post, ma sarà una voce digitale che semplicemente leggerà quello che avrei scritto nel blog.
Sarà una buona idea? avrò qualche ascoltatore?
Tireremo le somme diciamo, a fine aprile quando capirò se ha senso continuare.
Il progetto, per lo meno nella mia idea iniziale, è quello di pubblicare una puntata settimanalmente, il venerdì, in formato audio, per poi pubblicarla anche sul blog, lasciando il link della puntata audio.
Non mi resta quindi che lasciarvi i riferimenti.
Su basterà cercare Nerd Space Cowboy su Spotify (https://open.spotify.com/show/1zIKoq7ZaDAnGo5uz6OwNm) o direttamente su Anchor.fm (https://anchor.fm/richunter)
La prima puntata in formato "lettura" cercherò di caricarla nei prossimi giorni.
Quindi se avete voglia di seguirmi mi trovate li.
Hear you next
Come dissi all'epoca la mancanza di lettori mi ha bloccato. Trovo inutile sprecare tempo per scrivere cose che principialmente rileggo solo io.
Però la voglia di scrivere, diciamocela tutta, non mi è mai mancata, ma capisco bene che nel 2020 un blog lascia il tempo che trova, se non hai "uno zoccolo duro" di lettori, rispetto ai nuovi media.
Per cui l'idea, forse malsana, di aprire una forma di comunicazione diversa e più "popolare" al giorno d'oggi, ovvero un podcast.
Per cui annuncio l'apertura del mio Podcast Anchor sul quale ho già "uploadato" 3 episodi. Un trailer e una prima puntata già disponibili, mentre una seconda puntata uscirà settimana prossima.
C'è un però. Non sarò io a raccontarvi i miei post, ma sarà una voce digitale che semplicemente leggerà quello che avrei scritto nel blog.
Sarà una buona idea? avrò qualche ascoltatore?
Tireremo le somme diciamo, a fine aprile quando capirò se ha senso continuare.
Il progetto, per lo meno nella mia idea iniziale, è quello di pubblicare una puntata settimanalmente, il venerdì, in formato audio, per poi pubblicarla anche sul blog, lasciando il link della puntata audio.
Non mi resta quindi che lasciarvi i riferimenti.
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La prima puntata in formato "lettura" cercherò di caricarla nei prossimi giorni.
Quindi se avete voglia di seguirmi mi trovate li.
Hear you next